Il Bechdel test

O neanche il cinema sfugge alle grinfie di noi odiose femministe

  Il Bechdel test è basato su una striscia della strip a vignette “Dykes to watch out for”, in italiano “Attenzione alle Lesbiche”, ispirata alle esperienze dell’autrice Alison Bechdel (1960)  nella comunità lesbica americana negli anni ottanta del secolo scorso. Bechdel, da cui il test prende il nome, è nota soprattutto per la sua graphic novel autobiografica “Fun Home”, che le è valsa l’Eisner Award nel 2007 ed è stata recentemente adattata in un omonimo musical.

  La pagina autoconclusiva di “Dykes to watch out for” da cui è nato il Bechdel test fu pubblicata nel 1985 col titolo “Rule” e raffigura due donne, Mo e Ginger, mentre passano di fronte ad un cinema. Ginger chiede all’altra se le piacerebbe guardare un film insieme. Mo declina gentilmente l’offerta poiché segue standard molto precisi per la visione di lungometraggi ed elenca tre regole poi diventate i tre elementi immancabili in un film per poter passare il Bechdel test:

    1.     Nel film devono esserci almeno due donne che…

   2.      … parlino tra di loro di qualsiasi argomento che…

   3.         … non riguardi un uomo.

In seguito all’enunciazione di questi punti la sua interlocutrice osserva come queste condizioni siano severe ma accettabili e Mo  ricorda come l’ultimo film che sia riuscita a vedere sia “Alien” perché lì le donne parlavano solo del mostro.

  Di fatto il Bechdell test , ritenuto inizialmente dall’autrice solo “una battutina lesbica in un giornale alternativo femminista ”, è oggi ritenuto il traguardo minimo da raggiungere nella presenza femminile nella cinematografia. Dal 2014 Euroimages, il fondo dell’UE per la  settima arte, lo include nei requisiti per ricevere un finanziamento.

Il test è di genere quantitativo, non qualitativo, non misura cioè la qualità di un’opera, ma cerca di misurarne alcune caratteristiche oggettive. Lo passano  “Rio 2” e “Barbie: la principessa delle perle”, ma capolavori come l’intera prima trilogia di Star Wars  e “Pulp FIction” di Tarantino no. Il suo scopo non è definire quali film vanno guardati e quali eliminati dalla faccia della Terra una volta per tutte, sia mai detto. Il fine del Bechdel test è invece quello di individuare la presenza di anomalie o di andamenti generali. Serve a capire se un regista o una casa di produzione danno ai loro personaggi femminili il dovuto spazio o se tali personaggi sono facilmente sostituibili da un lampadario dalle forme tentatrici, oppure se in una serie TV tutta al femminile le protagoniste in carriera indipendenti, libere e attraenti non fanno altro che parlare di uomini.

Il sito Bechdel Test Movie List contiene un archivio aggiornato costantemente di film “bocciati” o meno. Come commenta però il critico cinematografico Mark Harris il problema non va posto per film, anche capolavori, prodotti nello scorso secolo, ma per produzioni odierne dove ci si aspetta una mentalità più aperta alla parità di genere e meno a stereotipi e preconcetti coevi all’invenzione della ruota. A discapito di ciò nel 2023, alla alla novantacinquesima edizione degli Oscar non solo nessuna regista donna aveva ottenuto la nomination, ma tra i campioni di incassi candidati né “Avatar la via dell’acqua“ (4 candidature)  né “Elvis”  (8 candidature)  rispettano gli standard di Mo.

Spianare la strada alle future generazioni di artisti deve cominciare non solo nei cast, ma anche dall’altra parte della cinepresa. Bisogna permettere l’ingresso nel mondo dello spettacolo a chiunque meriti e dia prova delle proprie capacità senza distinzione di genere, etnia o orientamento sessuale. Registe, produttrici e sceneggiatrici di talento sono la chiave per dare una voce sincera alle donne di oggi.

Le prossime serate che riuscirete ad avere libere da impegni dedicatele alla visione di film presenti nel vastissimo catalogo della piattaforma streaming multimiliardaria a cui siete abbonati (o datevi alla pirateria digitale, fa lo stesso) e provate a vedere quanti riescono a passare il  Bechdel test, vi sorprenderà.

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